Il sepolcro di Gaudioso di Abitina (non gi� di Bitinia come ingenuamente semplificarono gli antichi) ci introduce nell'attigua catacomba. Dei mosaici azzurrati e gialli che decoravano
l'arcosolio resta quasi intatto il titolo sepolcrale, che tramanda la data della morte. Profugo con S. Quodvultdeus di Cartagine e molti altri nella persecuzione di Genser�co, ariano re dei Vandali, abbandonato su una barca
sconnessa, approd� provvidenzialmente a queste rive e ne ripart� per l'ultimo tragitto il 27 ottobre del 453, nell'indizione sesta. Nell'adiacente cubicolo la tradizione volle collocata la sepoltura di Nostriano
di Napoli, il Vescovo che accolse i confratelli esuli dall'Africa. Napoli godeva allora la posizione di stella del Mediterraneo, a Napoli S. Ambrogio riferiva la biblica profezia: Dio l'ha fondata sui mari. Era il faro
dei popoli del sud: un provvidenziale, luminoso destino che un'altra, pi� oscura storia ha sempre tentato di fermare. Nell'arcosolio centrale � graffita una croce gemmata. L'archetipo, in oro e pietre preziose,
fu posto da Costantino imperatore sul Golgota, dove sua madre S. Elena aveva rinvenuto la vera Croce del Salvatore. Gemme e oro simboleggiano il prezzo del nostro riscatto, il corpo del Crocifisso, che i primi cristiani
evitavano di rappresentare, da un lato condizionati dalla Bibbia, dall'altro dal timore d'idolatriche contaminazioni col paganesimo. Nella volta, cielo di quel microcosmo che � ogni spazio sacro, splende il volto del
Cristo Pantocrator, Cosmocrator, Cronocrator, Onnipotente Signore dello spazio e del tempo: due affreschi, distanti un secolo tra loro, uno pi� piccolo, l'altro pi� grande si sovrappongono a raffigurarlo inserito nel
circolo dell'Eternit� ma inquadrato nel tempo, donde, Verbo di luce incarnato, s'irradia nei quattro Vangeli, nel cerchio e nel quadrato: eterno nel tempo, infinito nella finitudine. L'antico, che non
dall'alto, come noi oggi, ma dalla cripta, penetrava nel sottostante cubicolo, corrusco di colori vedeva splendere il mosaico del calice ansato, col suo ritorto, lussureggiante fogliame, e due uccelli all'estremit�;
riconosceva, contrapposto forse ad un perduto S. Pietro, nell'estradosso sinistro S. Paolo, emblema della sapienza cristiana, coi soliti tratti che gi� la tradizione aveva attribuito a Socrate, la sapienza pagana.
Bello, sempre a sinistra l'arcosolio che vuole imitare i sarcofagi strigilati romani, bella nella mutila lunetta la croce gemmata, trofeo del cattolicesimo vincente, albero della vita al centro del nuovo Eden verdeggiante
in eterno, dove, in luogo della coppia primigenia, due agnelli son condotti dal Buon Pastore a pascoli ubertosi. Il soggetto � ripreso, com'� dato intuire da uno scorcio, nell'arcosolio opposto, poi rivestito da un
mosaico, forse una Traditio Legis, ormai quasi perduta. Devote figure barocche c'introducono in un attiguo ambulacro, dove i domenicani, dell'antichit� assertori tenacissimi, espressero, nel 1637, il proposito di far
rivivere i vetustissimi rifugi e cimiteri dei cristiani, adattandoli ancora pro fidelibus tumulandis. - Ma per l'avvenire non s'innovi cosa alcuna, come ordina il Padre Reverendissimo Generale. Napoli die 27 Aprilis
1637 -. Firme dei primi, cinquecenteschi visitatori ci conducono a quella che fu antica cisterna e poi cimitero dei frati. Percorrendo a ritroso il cammino, cerchiamo altre memorie d'antichi splendori ed ecco, in fondo
ad una disadorna serie d'arcosoli, un mosaico a tessere bianche e rosse. Simboli antichi, comuni anche all'Africa cristiana, come gli agnelli e i tralci di vite, attorniano un medaglione con la croce e le lettere
apocalittiche Alfa ed Omega, sorretto dalle zampe d'un bianco uccello, che con le ali sostiene un duplice serto. Occorre salire delle scale per ammirare i resti, sospesi nel vuoto, di quella che fu probabilmente la
tomba di un diacono. V'era infatti raffigurato, attorno ad una elaborata croce del secolo VI, il diacono protomartire Stefano. Rimane ancora il diacono Sosso di Miseno, che pie , durature leggende vollero associare con
altri al martirio di S. Gennaro. Ed ecco le famose cantarelle, che ritroviamo anche sotto la semidiruta S. Maria Antesaecula, ed un po' pi� lontano, nel cimitero delle monache al castello di Ischia. Il macabro ed
inconsueto trattamento della scolatura fu riservato probabilmente ai nobili, a giudicare anche dalle lapidi blasonate della cripta che sovrastano questo ambiente di cupa suggestione. Sventrando e sfondando pi� antiche
strutture, fino al provvido divieto del 1637, i Domenicani crearono una vera e propria galleria per l'esposizione degli aristocratici teschi, completando a fresco la figura. Sentenze bibliche sono i titoli morali di questa
serie impressionante. Spicca una coppia di sposi che si stringe teneramente la mano: forse quei due che videro presentarsi alle loro nozze, terrificante ed indesiderato convitato, il fantasma del capitano spagnolo col suo
orrendo spadone: una storia di mozartiane suggestioni. E poi di fronte ad un domenicano in preghiera, la morte che domina sul tempo, inesorabile scorrere inconsistente di sabbia nella clessidra, a terra la corona e lo scettro,
effimero potere dei mortali; quindi le anime del Purgatorio, imploranti tra le fiamme una prece ai superstiti. Regolare prosegue la macabra mostra: a destra le donne, cui la Bibbia rammenta quanto � fallace la grazia, e
quanto la bellezza � vana: riconosciamo donna Sveva Gesualdo, la principessa di Montesarchio, che pag� seicento ducati per incorniciare l'antica icona della Vergine; a sinistra, tra gli uomini, si avvicendano il magistrato
Diego Longobardo, morto nel 1632, che ammonisce ad amare la giustizia coloro che giudicano la terra, poi Marco Antonio d'Aponte, Scipione Brancaccio, Alessandro d'Afflitto ed infine Giovanni Balducci, con riga e
tavolozza; sfondo della scena un lapideo Cristo giacente, ed una nera croce. Rivolti indietro, scorgiamo l'ultimo affresco paleocristiano, che di macabro nulla presenta: il defunto Pascentius (il nome ricorre nella
lista dei profughi trasmessa da Vittore di Vita) si prostra tra due candelabri (altro simbolo comune all'Africa) dinanzi all'Apostolo Pietro che lo introduce a Cristo. Pascenzio veste la penula, Cristo e Pietro il
pallio, greco e cristiano simbolo del sapiente povero, che Tertulliano di Cartagine voleva vedere indossato dai credenti in luogo della toga, pagano emblema di Roma. Due lettere greche, gamma ed eta, bordano il pallio delle
sante figure. Su queste lettere, denominate genericamente gammadia, tanto si � sentito e dissentito. Certamente per i greci erano cifre (gamma valeva 3, eta 8). Certamente per i cristiani furono anche simboli: 3 � la
Trinit� e la Perfezione, 8 � il Cristo risorto nel giorno ottavo, cio� l'immortale eternit�. Sopra le nostre teste, il formicolio dei mortali, qui sotto, immortali, gli eterni simboli dell'uomo, che la Fede ha
tramandato sempre vivi, che l'Arte ha trasmutato in sempre nuova bellezza.
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