La leggenda della pastiera: mito e la tradizione

Pastiera (foto © Oriente)

La scrittrice napoletana Loredana Limone ci racconta a m� di cordiale conversazione la leggenda della pastiera, gli antichi metodi di preparazione e la particolarissima tecnica impiegata dalle monache nei monasteri napoletani. Alla fine un breve brano tratto dal suo libro “La cucina del Paese di Cuccagna. Passeggiate gastronomiche con Matilde Seraoâ€

� Scheda del libro “La cucina del Paese di Cuccagna....â€
� Intervista a Loredana Limone sul libro

L’origine della Pastiera � antichissima e proviene da culti pagani per celebrare l’arrivo della primavera.
La leggenda dice che la sirena Partenope aveva scelto come dimora il bellissimo golfo di Napoli e da l� cantava con voce melodiosa e dolcissima. La gente allora per ringraziarla di questo meraviglioso canto le port� dei doni, sette doni per l’esattezza, come le sette meraviglie del mondo, ognuno dei quali aveva un significato:

1) la farina, simbolo di ricchezza,
2) la ricotta, simbolo di abbondanza,
3) le uova, simbolo di riproduzione,
4) il grano cotto nel latte, simbolo della fusione del regno animale e di quello vegetale,
5) i fiori d’arancio, profumo della terra campana,
6) le spezie, omaggio di tutti i popoli
7) lo zucchero per acclamare la dolcezza del canto della sirena.

La sirena grad� i doni, ma nel raccoglierli li mescol� in un amalgama che le lasci� tra le mani la prima pastiera di cui fu l’inconsapevole autrice.
La pastiera � entrata poi nella tradizione cristiana diventando il dolce con cui festeggiare la Santa Pasqua. Ancora oggi � presente sulla tavola pasquale in tutte le famiglie ed � simbolo di pace.

La preparazione della pastiera � complessa, lunga e laboriosa.
La tradizione vuole che la pastiera si prepari il Gioved� Santo anche perch� � un dolce che invecchiando migliora e che si pu� conservare fino a dieci giorni, ma non in frigo perch� altrimenti si rovinerebbe subito.
In un epoca, nemmeno tanto remota, si usava fare cos�: si acquistava il grano sfuso che si vendeva nei sacchi di iuta, lo si metteva a bagno in acqua fredda per quindici giorni cambiando l’acqua ogni due giorni. Il grano cos� ottenuto andava poi scolato, dosato e cotto nel latte. Oggi fortunatamente esistono in commercio delle provvidenziali lattine di grano cotto gi� pronto per l’uso. La ricotta e lo zucchero venivano mescolati in uno zuppierone di ceramica fino a quando non diventava una crema e l’esperta di casa, che in genere era la nonna, non diceva: “stop, va bene cos�!â€.
Poi si seguiva tutto il rito della complessa preparazione sia del ripieno sia della pasta frolla e si finiva mettendo le tipiche striscioline di pasta sull’impasto che vanno sistemate nella tipica forma di croce di sant’Andrea e fissate benissimo ai bordi della teglia, sia per l’estetica, sia perch� devono impedire all’impasto di fuoriuscire.
La pastiera si fa cuocere in particolari teglie di alluminio che si chiamano ruoti ed essendo molto delicata viene anche venduta dalle pasticcerie in questi ruoti il cui costo credo sia incluso nel prezzo della pastiera
La cottura della pastiera tradizionalmente andava dalle tre alle quattro ore a fuoco basso, ma oggi per i forni moderni vi sono altri tempi.

Le monache avevano una modalit� di preparazione tutta - diciamo - particolare: si vociferava – voce di popolo, voce di Dio – che le monache lavorassero la pasta in maniera alquanto insolita: quelle che disponevano di natiche e fianchi pi� floridi, si sedevano sopra l’impasto che era stato messo sui sedili di marmo del loro chiostro e, sussurrando devote preghiere si dimenavano a lungo e ritmicamente permettendo cos� alla pasta di crescere rigogliosa.


Per concludere un breve brano, tratto dal mio libro ... che prima ho romanzato e poi mi ha emozionata.

Ma la regina di tutti i dolci, anch’essa nata nella pace dei chiostri, � la pastiera. La sua origine � antichissima e proviene da culti pagani per celebrare l’arrivo della primavera; introdotta poi nell’atmosfera mistica della resurrezione di Cristo, � divenuta messaggio di pace e di grazia sulla mensa pasquale. Le suore ne confezionavano un gran numero per le dimore patrizie e della ricca borghesia; quando i servitori andavano a ritirarle per conto dei loro padroni, dalla porta del convento che una monaca odorosa di millefiori apriva con circospezione, fuoriusciva una scia di profumo che s’insinuava nei vicoli intorno e, spandendosi nei bassi, dava consolazione alla povera gente per la quale quell’aroma paradisiaco era la testimonianza della presenza del Signore.

(Loredana Limone)

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