Raffaele Viviani “Lo Scugnizzo Stabiese”

Dr.ssa Tina Marasca

<<Un poeta italiano del nostro tempo che si espresse nei modi del vernacolo napoletano, [ ] questi è Raffaele Viviani. Poeta da intendersi non già, in senso lato, (ma come) scrittore di teatro ch’Egli fu, essendo stato in prima istanza un attore ed un direttore di compagnia [ ]..>>.

Vittorio Viviani
Introduzione - Raffaele Viviani, Poesie -. Guida Editori, Napoli (MCMLXXV)

Raffaele Viviani nacque nel 1888 a Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, e il giorno della sua nascita è alquanto incerto, alcuni biografi ci informano che l’attore stabiese venne alla luce il 9 gennaio, altri sostengono invece che egli fosse nato il giorno 10 gennaio all’una e venti di notte. Va precisato che il vero cognome del commediografo era Viviano e, solo quando l’attore napoletano divenne noto, il suo cognome d’origine fu mutato in Viviani, considerato dal medesimo Raffaele, più artistico e teatrale.

La sua era una famiglia povera. Egli era figlio di una casalinga, Teresa Sansone e dell’omonimo Raffaele, un tempo cappellaio e addobbatore di feste; solo successivamente Viviani padre, divenne impresario e vestiarista teatrale dell’Arena Margherita di Castellammare di Stabia. In questo teatro recitavano i “Pulcinelli”, ma quando venne alla luce Papiluccio – appellativo col quale Viviani veniva chiamato dai suoi cari – il padre dovette far fronte ad un sequestro tributario che, portò l’intera famiglia Viviani ad una profonda crisi economica. Fu così che nel 1893, il padre del nostro giovane attore, raccogliendo il materiale di scena e i costumi che gli erano rimasti, decise di ricominciare una nuova vita nel capoluogo di Napoli. Qui Raffaele Viviani padre, costruì il teatro Masaniello presso Porta Capuana, e fu proprietario di piccoli teatri popolari. Giorno dopo giorno il padre trasmetteva al figlio Papiluccio la sua grande passione per il teatro. Infatti il piccolo Viviani iniziò all’età di quattro anni e mezzo a calcare le tavole dei palcoscenici popolari di Napoli. Egli indossò un abito da pupo (precisamente un frac) e, cantò in uno spettacolo marionettistico, fu allora che egli mostrò immediatamente le sue grandiose doti.

Era appena un ragazzino quando gli morì il padre, e alla morte di questi fu costretto a ricoprire il difficile ruolo di “pater familias”. Doveva occuparsi della madre e della sorella Luisella, anch’ella giovane attrice e grande cantante. I tre vissero nella più cupa disperazione e miseria; Raffaele da buon scugnizzo, passava le sue intere giornate per le strade e per i vicoli di una Napoli pericolosa e criminale. Ma sapendo di avere un talento naturale, decise di sfruttarlo appieno. Nonostante fosse una persona analfabeta, che non sapeva né leggere e né scrivere, volle studiare da autodidatta per migliorarsi, e seppe riscattarsi socialmente e culturalmente dopo un lungo tirocinio da artista poliedrico quale egli era. In breve tempo fu ammirato e apprezzato in tutti i teatri d’Italia, d’Europa e oltre Oceano. Con la sua compagnia di teatro di prosa dialettale (fondata nel 1917 e diritta personalmente da lui fino al 1945) di cui fece parte anche la sorella Luisella, recitò ovunque, a Napoli, a Roma, Milano (1906), Genova (1907), Torino(1907), Alessandria (1907), Malta (1907), Budapest (1911), Parigi (1915), Tripoli (1925), Argentina, Uruguay, Brasile, ecc.

Il suo debutto di attore-autore e regista, avvenne il 27 dicembre del 1917, al Teatro Umberto di Napoli, quando inscenò il dramma ‘O vico, “commedia in un atto in versi, prosa e musica”. Il suo teatro era fatto di creature vive e non di figure romanzesche-letterarie; sulla sua scena ci sono ritratti umani tragico-comici della società napoletana. Il suo non era un popolo piccolo borghese di matrice scarpettiana, ma era un popolo di scugnizzi, di spazzini, di guappi, di prostitute, di ladri, di miseri vagabondi, di venditori ambulanti, di vicoli, di rioni e di quartieri napoletani degradanti, dove si vive un’esistenza faticosa e penosa, di indigenza e di emarginazione. <<Non mi fisso sempre una trama, mi fisso l’ambiente; scelgo i personaggi più comuni a questo ambiente e li faccio vivere come in questo ambiente vivono, li faccio parlare come li ho sentiti parlare [ ] >>; - R. Viviani, Dalla vita alle scene. Il romanzo della mia vita; Guida Editori, Napoli, 1977 -
Sulle tavole del suo palcoscenico diede vita dunque ai sentimenti, alle ansie, alle passioni, alle gioie, ai problemi, alle lotte, alle ingiustizie e alle rivendicazioni di questa umile plebe napoletana. Il popolo vivianesco diventa quindi metafora dell’intero universo. Don Rafele analizza attentamente la realtà sociale in cui vive, per poi inscenare sul palcoscenico vari e diversi personaggi popolari, o meglio quelli che noi, nei precedenti articoli, abbiamo definito personaggi teatrali fissi”. Il teatro popolare di Viviani è costituito dunque da svariate macchiette – alcune di esse sono state da noi menzionate nell’articolo Le macchiette di Raffaele Viviani”, in Il teatro popolare, . Pertanto le macchiette di Papiluccio presentano una vena crudelmente neorealistica e una comicità e un’ironia ricche di tragico sentimentalismo.

A questo punto sembra opportuno citare i diversi giudizi espressi dagli intellettuali sul teatro vivaneo; Federico Frascani considera la Napoli di Don Rafele “realisticamente viva”; Rodolfo Di Giammarco reputa “violento e sarcastico il realismo di Viviani”; Peppino De Filippo afferma che il teatro di Papiluccio è un “teatro verista-popolaresco-macchiettistico” – P. De Filippo, in Una famiglia difficile
I “vicoli bassi” di Napoli sono presenti nei suoi drammi: 'O vico (1917), Borgo Sant’Antonio (1918), Via Partenope, Piazza Municipio, Porta Capuana (1918), ‘Nterr ‘a Mmaculatella (1918), Tuledo 'e notte (1918), Festa di Piedigrotta (1919), ‘E piscature (1925), Guappo ‘e cartone (1932), La tavola dei poveri (1936), ecc. Tuttavia la scena realistica-popolare di Viviani è fatta di umorismo, di versi, musica, acrobaticità, canti e balli; essa è un insieme di numeri che fanno parte di un genere teatrale minore, detto per l’appunto Varietà. Quest’ultimo si diffuse verso fine Ottocento e primo Novecento. Il varieté popolare vivianesco dovette però fare i conti con l’Italia fascista, le rappresentazioni del macchiettista napoletano facevano scandalo. L’Italia perbenista, la borghesia benpensante e la cultura e la censura fascista chiesero ed ottennero i tagli sui copioni vivianei. Il fascismo era pronto ad ostacolare la diffusione delle compagnie dialettali e quel teatro regionale-popolare, di cui Papiluccio era rappresentante.

Il nostro commediografo fu autore, attore, poeta, acrobata, musicista, melodista e cantante del suo teatro. Fu uno dei macchiettisti più celebri della drammaturgia napoletana. Fu elogiato da uno dei più famosi chansonnier francesi del Novecento, Felix Mayol, e fu molto amico del comico romano Ettore Petrolini, dell’attore siciliano Angelo Musco, dell’attore napoletano Eduardo Scarpetta, ecc.
Don Rafele con le sue stravaganti esibizioni fu molto caro anche ai futuristi e soprattutto a Filippo Tommaso Marinetti. …<<Pensate all’intelligenza condensata di un artista di varietà che ha pochi minuti per poter svolgere il suo “numero” e in quei pochi minuti deve convincere. [ ] L’arte del varieté perciò è immediatezza e sintetismo...[ ]>>; - Raffaele Viviani, Dalla vita alle scene, Napoli, Guida, 1977 -

Nel 1908, il macchiettista, al Teatro Nuovo di Napoli, conobbe Maria Di Maio e nel 1912, Viviani decise di sposare all’età di ventiquattro anni la diciottenne ragazzina. Dalla loro unione vennero al mondo quattro figli (Vittorio, Yvonne, Luciana e Gaetano). Viviani ebbe l’occasione di avvicinarsi anche al cinema; comparve, insieme alla sorella Luisella in tre film girati nel 1908, ma purtroppo queste pellicole sono andate perdute, e infine fu protagonista di due soggetti cinematografici tratti dal suo repertorio teatrale: La tavola dei poveri (1936), sceneggiatura a quattro mani, con Mario Soldati per la regia di Alessandro Blasetti; e L’ultimo scugnizzo (1939). Il nostro stimato attore morì a Napoli il 22 marzo del 1950, dopo aver trascorso quattro lunghi mesi di sofferenza nel proprio letto a causa del suo male incurabile. La sua ultima volontà, prima di sospirare, fu quella di vedere la sua magica città dalle vetrine della sua finestra:<<Arapite, faciteme vedé Napule>>.
In verità Viviani sebbene è stato sempre giudicato positivamente dalla critica e dalla stampa del suo tempo, è stato scoperto postumo, ossia è stato considerato un sommo artista del teatro italiano del Novecento solo dopo la sua scomparsa. Recentemente la sua drammaturgia è stata riproposta da Roberto De Simone, Toni Servillo e qualche anno fa dal grande Nino Taranto.

Bibliografia
Storia della letteratura italiana, diretta da Enrico Malato. VOL. IX. Il Novecento. Salerno Editrice, Roma, 2000.
Roberto Tessari in “GDE – Grande Dizionario Enciclopedico”, UTET, Editrice Torinese, Torino.

Links
Il Teatro Napoletano
Le macchiette di Raffaele Viviani
Il teatro popolare napoletano

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