L’origine della Pastiera è antichissima e proviene da culti pagani per celebrare l’arrivo della primavera. La leggenda dice che la sirena Partenope aveva scelto come dimora il bellissimo golfo di Napoli e da lì cantava con voce melodiosa e dolcissima. La gente allora per ringraziarla di questo meraviglioso canto le portò dei doni, sette doni per l’esattezza, come le sette meraviglie del mondo, ognuno dei quali aveva un significato:
1) la farina, simbolo di ricchezza, 2) la ricotta, simbolo di abbondanza, 3) le uova, simbolo di riproduzione, 4) il grano cotto nel latte, simbolo della fusione del regno animale e di quello vegetale,
5) i fiori d’arancio, profumo della terra campana, 6) le spezie, omaggio di tutti i popoli 7) lo zucchero per acclamare la dolcezza del canto della sirena.
La sirena gradì i doni, ma nel raccoglierli li
mescolò in un amalgama che le lasciò tra le mani la prima pastiera di cui fu l’inconsapevole autrice. La pastiera è entrata poi nella tradizione cristiana diventando il dolce con cui festeggiare la Santa Pasqua. Ancora
oggi è presente sulla tavola pasquale in tutte le famiglie ed è simbolo di pace.
La preparazione della pastiera è complessa, lunga e laboriosa. La tradizione vuole che la pastiera si prepari il Giovedì Santo anche
perché è un dolce che invecchiando migliora e che si può conservare fino a dieci giorni, ma non in frigo perché altrimenti si rovinerebbe subito. In un epoca, nemmeno tanto remota, si usava fare così: si acquistava il
grano sfuso che si vendeva nei sacchi di iuta, lo si metteva a bagno in acqua fredda per quindici giorni cambiando l’acqua ogni due giorni. Il grano così ottenuto andava poi scolato, dosato e cotto nel latte. Oggi
fortunatamente esistono in commercio delle provvidenziali lattine di grano cotto già pronto per l’uso. La ricotta e lo zucchero venivano mescolati in uno zuppierone di ceramica fino a quando non diventava una crema e
l’esperta di casa, che in genere era la nonna, non diceva: “stop, va bene così!”. Poi si seguiva tutto il rito della complessa preparazione sia del ripieno sia della pasta frolla e si finiva mettendo le
tipiche striscioline di pasta sull’impasto che vanno sistemate nella tipica forma di croce di sant’Andrea e fissate benissimo ai bordi della teglia, sia per l’estetica, sia perché devono impedire
all’impasto di fuoriuscire. La pastiera si fa cuocere in particolari teglie di alluminio che si chiamano ruoti ed essendo molto delicata viene anche venduta dalle pasticcerie in questi ruoti il cui costo credo sia
incluso nel prezzo della pastiera La cottura della pastiera tradizionalmente andava dalle tre alle quattro ore a fuoco basso, ma oggi per i forni moderni vi sono altri tempi.
Le monache avevano una modalità di preparazione tutta - diciamo - particolare: si vociferava – voce di popolo, voce di Dio – che le monache lavorassero la pasta in maniera alquanto insolita: quelle che disponevano di natiche e fianchi più floridi, si sedevano sopra l’impasto che era stato messo sui sedili di marmo del loro chiostro e, sussurrando devote preghiere si dimenavano a lungo e ritmicamente permettendo così alla pasta di crescere rigogliosa.
Per concludere un breve brano, tratto dal mio libro ... che prima ho romanzato e poi mi ha emozionata.
Ma la regina di tutti i dolci, anch’essa nata nella pace dei chiostri, è la pastiera. La sua
origine è antichissima e proviene da culti pagani per celebrare l’arrivo della primavera; introdotta poi nell’atmosfera mistica della resurrezione di Cristo, è divenuta messaggio di pace e di grazia sulla mensa
pasquale. Le suore ne confezionavano un gran numero per le dimore patrizie e della ricca borghesia; quando i servitori andavano a ritirarle per conto dei loro padroni, dalla porta del convento che una monaca odorosa di
millefiori apriva con circospezione, fuoriusciva una scia di profumo che s’insinuava nei vicoli intorno e, spandendosi nei bassi, dava consolazione alla povera gente per la quale quell’aroma paradisiaco era la
testimonianza della presenza del Signore.
(Loredana Limone)
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